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domenica 10 gennaio 2010

Dossier Caligari - EDO REVEE

EDO è stato abbandonato dal padre all’età di 8 anni in un supermercato. Questo fatto ne ha segnato la vita in maniera indelebile. Il piccolo Edo, incapace di accettare la crudeltà di quel gesto, ha costruito una storia di fantasia per giustificare il fatto: un’agenzia governativa deviata avrebbe rapito il padre, in realtà un agente segreto operante contro le forze del male. Nei mesi successivi all’abbandono manifesta i segni di una psicosi maniaco-depressiva, contraddistinta da esplosioni di rabbia distruttiva ed ossessioni compulsive. La madre, comprensibilmente incapace di affrontare la situazione con lucidità, si rivolge ad uno psichiatra infantile. Edo viene curato con il TRICAGILAX S (Clorpromazina), che effettivamente frena i sintomi violenti della psicosi. Comincia a maturare l’idea che la realtà che ci circonda sia “...un velo illusorio che nasconde la Verità, qualcosa che ci viene celato perché la Comprensione renderebbe l’umanità Illuminata, distruggendo così il Dominio dei Potenti”. Edo trova il modo per squarciare questo velo con la fotografia.
Il “Metodo Revee” è la versione fotografica di un Cut-Up di William Burroughs: scatti compiuti senza guardare nel mirino, multiesposizioni, sovrapposizioni in fase di stampa e collage casuali.
Solo attraverso un’ immersione sistematica nel caos è possibile trovare le aperture sulla Verità. I segnali sono ovunque ma si deve forzare il sistema, con una violenza dell’occhio che deve farsi creatore e non più semplice fruitore”.
Artisticamente Edo riscuote parecchio successo, affascinando la critica con le sue sorprendenti esplosioni di colore, esposte 8 anni fa in una personale che lo battezza
Il Fotografo della Verità”. Poco interesse invece riceve il messaggio “politico”, per cui Edo decide di continuare la sua ricerca lontano dai riflettori.
Nello stesso periodo interrompe l’assunzione di TRICAGILAX S, combattendo con delle devastanti crisi d’astinenza.
Da allora vive con un sussidio di disoccupazione.
Due anni e mezzo fa conosce Ada che in breve tempo diventerà sua moglie.
Da un anno somministra invece il farmaco alla moglie, in dosi talmente massicce da averle provocato dei danni cerebrali permanenti. Il perché di questo gesto è ignoto.

sabato 9 gennaio 2010

Dossier Caligari - Zachary "ZAC BOY" Cully

ZAC ha 29 anni, è ricco e pieno di talento. È un produttore discografico. Il suo lavoro consiste nel costruire dei successi. Scrive canzoni e le affida ad interpreti da lui stesso plasmati.
Zac ha prodotto ogni genere musicale conosciuto. Molti, come il “Lost Love Rock” o il “Millennium Pop”, sono stati inventati da lui stesso.
Si dice che sia dotato di una voce stupenda ma nessuno l’ha mai sentito cantare. Circolano voci su di un disco mai pubblicato, “Tragic Lisa”, da lui stesso interpretato.
Zac ha però sempre negato l’esistenza di quest’album.
Nonostante la fama Zac appare insoddisfatto e annoiato dalla realtà, gli unici argomenti che paiono accenderlo di un vero entusiasmo sono il lavoro del fotografo Edo Revee, per il quale nutre un’ ammirazione ai limiti del fanatismo, ed il film “Il Gabinetto del Dr. Caligari” che Zac definisce enigmaticamente “la mia storia”.
Al di la del senso di quest’affermazione pare assai visibile come abbia modellato il suo look sull’immagine di Cesare, uno dei personaggi di quel film.

Zac viveva con Leo Rossi, suo patrigno e principale socio in affari.

È stato quest’ultimo infatti a rilevare una vecchia etichetta discografica ormai decaduta (la “Krister Sound”) affidandola al suo pupillo il quale, in brevissimo tempo, ne ha fatto un impero ribattezzato “Zac Studios”.
Sebbene l'attività sia ancora ufficialmente proprietà di entrambi, a beneficiare degli utili, da 8 anni ad oggi, è il solo Zac Boy.
I rapporti tra i due sono sempre stati pacifici fino a 13 giorni fa .
13 giorni fa Zac Boy, senza alcun preavviso, ha lasciato l'appartamento in cui viveva con il patrigno per andare ad occupare la stanza n°12 dell' Hotel Shabu.

Non si conosce il motivo della rottura tra i due, in un primo momento si è pensato a una storia di molestie sessuali da parte di Leo ma Zac ha nettamente smentito.
Comunque pare che Zac sia intenzionato a tagliare a tutti i costi i ponti con il suo mentore, del quale sembra avere un vero e proprio terrore.

venerdì 8 gennaio 2010

Dossier caligari - LEO ROSSI

LEO si definisce un “investitore”.

Il suo silenzioso impero economico si articola in modo tentacolare e trasversale, in una rete di società organizzate in un sistema di "scatole cinesi" per cui risulta impossibile costruire una mappatura effettiva dei suoi possedimenti.

Secondo alcune teorie i suoi affari si spostano con disinvoltura dal traffico di droga alla produzione di giocattoli.

Appare come un uomo pacifico ed inoffensivo ma sembra abbia commissionato diversi omicidi nel corso della sua carriera, omicidi che Leo avrebbe candidamente definito “questioni di lavoro”.

Sembra non provare emozioni, dice che potrebbe uccidere un bambino con la stessa indifferenza con cui parla del prezzo delle arance.

Secondo diversi testimoni ha una segretaria di nome Lylyth, che si occupa di tutte le questioni “sporche”. Nessuno però sembra averla mai vista o conosciuta, il che ci porta a considerarla come una delle innumerevoli “leggende urbane” circolanti sul conto di Rossi.

Sembra certo invece che, 29 anni fa, Leo abbia letteralmente comprato un bambino.

Questo bambino è Zachary Cully, meglio conosciuto come Zac Boy.

Leo ha cresciuto Zac come fosse suo figlio.

La cosa strana è che Leo afferma di avere 30 anni, cioè all’incirca la stessa età di Zac.

Leo afferma, inoltre, di avere 30 anni da sempre e definisce Zac “la mia famiglia”, l’unica persone a cui non potrebbe mai fare del male.


venerdì 1 gennaio 2010

Dossier Caligari - INTRODUZIONE

DR. CALIGARI
Un Cammino Lungo il Tema del Controllo


“...and those who allows themselves to be manipulated by those who would manipulate, deserve what they get.”

Bob Dylan


Questa citazione da sola sarebbe sufficiente a descrivere che cos’è il nostro progetto.

L’idea è nata, nel dicembre del 2008, dopo aver rivisto Il Gabinetto del Dr. Caligari e il suo sequel / remake realizzato nel 1989.

Nell’originale, diretto da Robert Wiene, si narra di uno psichiatra che, divenuto pazzo, sfrutta le sue conoscenze per ridurre in schiavitù un sonnambulo, per poi servirsene per compiere alcuni delitti.
Una riflessione espressionista sulla follia del potere realizzata nel 1920.
Alle soglie dell’ascesa di Hitler.

Nell’apocrifo seguito, diretto nel 1989 da Stephen Sayadian, assistiamo alle imprese della nipote del dottore originale, che dirige con metodi assai discutibili una clinica per disturbi legati alla libido.
Sayadian, che viene dall’ hard core, orchestra un grottesco ritratto dell’occidente reaganiano, il grido espressionista di un’ umanità spinta a desiderare e consumare mentre l’AIDS viene dipinto con i colori di un’apocalisse divina.

In entrambe le pellicole Caligari è l’emblema del super-criminale, dotato del potere necessario a controllare e ridurre in schiavitù i suoi simili.
Inarrestabile, capace di tutto, amorale e totalmente pazzo.
La rappresentazione poetica di ogni dittatore.

Ma è ancora possibile parlare, al giorno d’oggi, di super-criminale?
Non abbiamo sempre creduto alla favola del “cattivo” per permetterci di “uscirne puliti “?
Quanta responsabilità c’è da parte nostra nel diffondersi del male?
Quanta parte della nostra forza va ad alimentare questo o quel Caligari del passato e del presente?
Quanto siamo sicuri di non essere noi stessi il dittatore, il criminale, lo scienziato pazzo e distruttore?

Da queste domande è partito il lavoro con la compagnia.

In breve tempo ci siamo trovati a maneggiare una serie infinita di argomenti come l’identità, la responsabilità delle proprie azioni, la crescita di un individuo e l’autocoscienza.
Ad entrare in un turbinio di riferimenti bibliografici in grado di saltare con disinvoltura da Le Città Delle Notta Rossa a Bhagavad Gita.
Rischiando di arenarci nelle secche della presunzione e della banalità.
L’unico modo per uscirne era mantenere un punto di vista distaccato, mettere in scena dei fatti e non dei giudizi, e il miglior modo per raggiungere quest’obiettivo è sembrato essere la scrittura scenica.

Una volta assimilata dagli attori, la geografia dei riferimenti e delle domande ha cominciato ad infittirsi fino a distruggere i contorni del tema di partenza, portando il tutto ad un momento di vera crisi.
Non sapevamo più di cosa stavamo parlando.

Ed è stato allora che sono nati i personaggi.

Abbiamo lasciato parlare loro, Zac, Leo, Edo, May e Ada.
Abbiamo ascoltato le loro storie, cercato i punti dove queste s’incontravano.

Ci siamo ritrovati con in mano una trama intricatissima ma estremamente lineare.

Questo ci ha permesso di poter finalmente guardare a qualcosa di concreto, non solo ad una serie di suggestioni o riflessioni.
Una storia tradizionale, piena di eventi e colpi di scena, molto cinematografica.
Anche troppo, a dire il vero.
Volevamo che lo spettatore provasse la stessa sorpresa e lo stesso senso di disorientamento provato da noi nel costruirla.
Abbiamo quindi volutamente omesso una serie di dettagli narrativi, e aggiunto una voce fuori campo che permettesse allo spettatore di muoversi comunque nella cronologia degli eventi.
Il sesto personaggio.
Una presenza indagatrice, rappresentante del pubblico in sala.

Ed abbiamo ottenuto il risultato sperato.

Uno spettacolo che solleva degli interrogativi, che obbliga a cercare una chiave interpretativa.
Una storia che non impone la propria visione sugli eventi.
Qualcosa su cui poter discutere.

In un caso abbiamo avuto anche modo di assistere ad un litigio: due ragazze parlavano della reazione di Ada dopo lo stupro.

Ne parlavano come fosse una persona vera.

È stato emozionante.





Compagnia Delle Furie
Milano, gennaio 2010