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giovedì 19 novembre 2009

Caligari Prende Vita!

Oggi lo faccio.
Giuro.
Oggi trovo il tempo di scrivere che cazzo stiamo facendo qui a Rubiera.
È che è tutto fragile.
Però non fragile come tre giorni fa.
Comincia ad avere un identità solida, questo Caligari, questo spettacolo che non si lascia addomesticare.
Che non ne vuole sapere di lasciarsi controllare.
Tutti i pezzi stanno rimettendosi insieme, ma nel modo in cui nessuno, nessuno di noi poteva immaginare.
C'è un ordine in cui questa storia va composta ed è assolutamente refrattaria alle sterzate improvvise.
Questo spettacolo non è il vettore, è il percorso, è la strada.
Il vettore siamo noi, i nostri occhi sono i fanali che illuminano la strada.
Chi guida è lo spettatore.
E siamo in chiusura.
Ora c'è la chiusura dei conti e c'è il mio ruolo, che per il momento è stato solo osservare e cercare di comprendere cosa stesse emergendo dal caos primordiale degli elementi in gioco.
E l'ho capito stamattina a colazione, da un racconto apparentemente senza peso di Mattia.
Ho capito che ora è il momento di assumersi la responsabilità di mettere la parola fine.
Il punto.
Di chiudere il discorso.
Anzi, no, questo sarebbe impossibile.
Il discorso sarebbe molto molto lungo.
La definizione esatta è un'altra.
Il mio ruolo è quello di sciogliere l'assemblea.
E lasciare la parola agli spettatori.
Ecco.
Alla fine il tempo di scrivere cosa stiamo facendo l'ho trovato.
Il tempo si trova sempre.
Basta volerlo avere.
Domani magari scrivo anche qualcosa sulla storia.

giovedì 29 ottobre 2009

Casualità sfocianti in illuminazioni: Lino Musella incontra William Burroughs nella cucina di casa mia.


William Burroughs è stato il primo scrittore che abbia idolatrato.
A 17 anni ho letto il Pasto Nudo per la prima volta.
Non ci ho capito una minchia, credo di non averlo nemmeno finito tutto.
Poi ho letto altre cose.
Articoli, saggi, Il Biglietto Che è Esploso.
Credo di non averci capito una minchia nemmeno in questi.

Eppure sentivo che William Burroughs era il mio scrittore preferito, uno dei miei miti, uno spirito guida.
Poi nel 1997 Burroughs muore.
Scopro la cosa tornando da Parigi, il mio primo viaggio in aereo da solo.
C'è qualcosa di significativo nello scoprire della morte di un tuo eroe mentre torni, solo, da Parigi.
Poi passa il tempo, inizio a stringere uno stretto rapporto con il teatro, cresco, maturo, e la presenza di Zio Bill inizia a sfumare finendo nel baule dei ricordi piacevoli.
Poi, nel mezzo del cammin su Caligari, Elena Accenti, navigando nel mare di riferimenti che le ho mollato come una patata bollente, tira fuori in una conversazione William Burroughs.
Così.
Con facilità assurda.
Come farebbe un mago con un coniglio bianco da un cappello.
Eppure Burroughs non c'era in quella lunga lista di libri, film e personaggi che era la mappa geografica di Caligari.
Eppure è saltato fuori.
Allora ho capito.
Forse a 18 anni non avevo capito ma avevo appreso. Appreso nella pelle, nella carne, in una zona fisica non contaminata dalla logica.
E tutto ciò che ho scelto di vedere, leggere e sentire è stato in qualche modo condizionato da quell'esperienza.
Scatta una molla. Tornare a Burroughs.
Caligari veiene da li.
La mia ossessione per il controllo, per la schiavitù mentale arriva dalle pagine dell'uomo vestito di gessato.
Rileggo. Con gli occhi di un adulto.
Sbem.
Sono arrivato.
Bellissimo.
Totale.
Burroughs con una trama.
Capisco cosa vuol dire Parola che diventa Carne.
Ma non lo capisco da subito.
C'è un passaggio intermedio tra l'inizio della lettura de Le Città e quest'illuminazione.
Un passaggio che segna un piccolo punto di svolta, una segno di ordine nel caos, un momento dove gli dei dell'arte mi sorridono e mi fanno sentire onorato di una carezza.
Ora ci arrivo.
Per Dr. Caligari sto raccogliendo una serie di registrazioni, un bagaglio di voci da inserire nello spettacolo.
saranno la rappresentazione del mondo al di fuori dei 5 personaggi protagonisti.
Speaker radiofonici, grida di piazza, sit-com televisive ed altro.
Per queste registrazioni sto chiedendo aiuto ad una serie di attori che stimo e amo.



Tra questi c'è Lino Musella, a mio parere uno dei migliori attori italiani viventi.
Il caso ha voluto che Lino fosse il primo a prestarsi alla cosa.
Abbiamo organizzato la cosa di corsa, per cui non ho avuto molto tempo per selezionare il materiale o scrivere qualcosa ad hoc per cui ho optato per un paio di brani de Le Città Della Notte Rossa.
Lino è venuto da me, c abbiamo letto insieme i due pezzi, fatto qualche taglio ed abbiamo cominciato a registrare.
E la mia incapacità di dare indicazioni sul testo mi è esplosa in faccia in tutta la sua imbarazzante prepotenza.
Non riesco a spiegare a Lino come intepretare i brani perché, appunto, la comprensione di ciò che significano passa direttamente nel sistema nervoso ma la sua voce le rende tridimensionali, vibranti.
Lino mi fa capire come quelle parole siano scritte per diventare materia.
Si può solo suggerire il colore, la situazione in cui sono calati, ma non può esserci controllo.
Non quel patetico controllo che molti registi da due soldi identificano con il potere.
Si può suggerire, si può accompagnare, ma la vibrazione di significato è qualcosa che trascende la volontà del singolo.
Il regista deve avere il ruolo di capitano di una nave che viaggia in mari sconosciuti.
Deve preparare le attrezzature necessarie ad affrontare il viaggio ma non può disegnare mappe di luoghi che non ha mai visto.
Allora capisco delle cose in più.
Capisco sempre più quale dovrà essere il mio ruolo nella direzione di questo spettacolo e capisco come dovrà parlare al pubblico.
E quest'ultima è una cosa che non dico, perché spiegando ucciderei l'idea.
Dovrà essere materia, non teoria.

Conclusione:
Questo lavoro mi piace sempre più. Mi sta mettendo alla prova, mi sta regalando opportunità, e pieno di cose belle, come un pomeriggio passato insieme ad un artista che ammiro, a leggere brani di uno scrittore che mi ha cambiato la vita, e che all'imbrunire mi regala una irripetibile lezione sul teatro.

sabato 17 ottobre 2009

Il Natale nel cuore di Z-Man

Questo post può sembrare una recensione di un disco rivolta ai Dylanmaniaci. È lungo e forse noioso. Me se vi interessa entrare nel neurodelirio in cui nasce il nostro Caligari armatevi di pazienza ed arrivate fino in fondo.
Vi prometto che i prossimi saranno più brevi.

(^.^) LaFuriaFulvio



Pochi giorni fa è uscito il nuovo album di Bob Dylan, Christmas In The Heart, una raccolta di canzoni natalizie della tradizione americana.
Disco che, da dylaniano duro e puro, sono corso a comprare nel giro di 48 ore dalla sua esposizione sugli scaffali.
Del disco ne sapevo poco, avevo letto che era un'operazione di beneficenza o qualcosa del genere, non sono stato a pormi molte domande, ho imparato che con Bob farsi domande sulle sue scelte discografiche non serve a nulla, tanto appena sei riuscito ad inquadrarlo in uno schema lui ti frega e diventa un predicatore pentecostale o vince un oscar.

Anzi, questo è esattamente il motivo per cui lo adoro e perché ne ho fatto un mio eroe.
Per cui ci ho riso un po' su e poi da diligente adepto del culto ho cacciato i miei 17 euri
con tempismo matematico.

Il disco...
Lo ascolti e si rivela dal primo pezzo per quello che dichiara di essere, cioè un disco di Bob Dylan che, con la sua attuale band, esegue diligentemente delle canzoni di Natale americane.


E la cosa potrebbe chiudersi qui se non fosse per due interessanti paticolari:
1. un disco natalizio che esce il 16 ottobre
2. il disco è di Bob Dylan (magari non lo avete capito...) cioè quel signore anziano che un po' di anni fa scrisse Blowing in the wind, The times they are a-changin', A hard rain's a gonna fall e altre canzoncine che cominciarono a far nascere l'opinione che la musica potesse cambiare il mondo.
Molto probabilmente per un po' ne fu convinto lo stesso Dylan.
Ecco. Chiaro no?
No. Forse no.

Allora...

Bob Dylan (e dagli...) quello che nel 64 convinceva l'occidente che un altro mondo era di li a venire, nel frattempo ne ha passate tante: ha avuto alti e bassi creativi, si è sposato, ha avuto figli, è diventato cattolico, ha girato un paio di film assurdi ed inguardabili, ha vinto premi, è stato stroncato dalla critica, ha stretto la mano al papa e nel mentre non ha mai smesso di cantare.
Ma il mondo non sembra essere cambiato di molto.

Tanto orrore si aggira ancora tra gli uomini.

E la pioggia che doveva cadere? E i tempi che dovevano cambiare?

Che cazzo di fine hanno fatto Bob?
Chi se ne frega di sentirti cantare del tuo matrimonio fallito?
Chi se ne fotte che hai trovato Gesù?
Ridacci indietro i soldi! Noi vogliamo speranze, non canzoncine!
Giuda!

Però, a ben guardare...

Negli ultimi anni Bob è tornato a mietere successi, pubblico e critica acclamano l'attempato folk-singer che si è rinnovato riscoprendo la tradizione, mischiando Blues, Country, Folk, Rock, Boogie con la sua voce sempre più roca.
Urrà! Bob è tornato! Certo... non infiamma più gli animi come una volta, anzi, sembra portare avanti una filosofia di vita fatta di caminetto e ricordi, ricordi di un tempo andato e che forse non è mai esistito, un tempo di armonia e sentimenti puri, di malinconie, anche di rabbia ma anche di giustizia ed equilibri.
Bob ha deciso di portare i suoi fedeli ascoltatori verso il mondo della sua infanzia passata ad incantarsi davanti alla radio.
Ha capito che i tempi non cambieranno mai se non cambiamo noi.
E che noi non cambieremo mai se continueremo a vivere nella paura e nell'egoismo.
Se McCarthy ha capito che il mondo di oggi sta perdendo la sua umanità, Dylan sta provando a fermare il morbo nel suo piccolo, invitandoci tutti alla calma, cullandoci con la musica che da bambino gli diede la voglia di reinventarsi poeta.
Lo fa attraverso i microfoni della trasmissione Theme Time Radio Hour, dove per un'ora ci porta a spasso nella musica che ama, e lo fa attraverso i propri album, che di quella musica sono figli legittimi.
Mi sforzo di tagliare corto (capacità che in questo periodo mi è veramente sconosciuta):
un disco di beneficenza non può che essere un disco natalizio, il Natale dove tutti dobbiamo essere più buoni.
Fanculo al cinismo che ci fa vedere solo lo sputtanamento commerciale, il Natale è bellissimo quando sei bambino e non solo per i regali.
A Natale c'è la neve, ci sono le lucine, si sta al caldo mentre fuori fa freddo e si mangiano cose buone con le persone a cui vuoi bene.
Il Natale è commovente e dolce.
E in questo periodo il mondo ha bisogno di sentirsi buono, il mondo ha bisogno di fiducia e di messaggi positivi.
E Bob ci porta nei suoi Natali Passati, ci porta nel suo mondo di infanzia e cerca di farci stare calmi.
Certo, siccome sa che però siamo grandi e, siccome ha anche un certo gusto per la sdrammatizzazione, dentro il disco non ci trovi mica Gesù Bambino.
Ci trovi Betty Page, l'intramontabile gnocca delle gnocche.
Perché tutto è più semplice se ci si ride un po' su e se ci si diverte.
Cristiano sì.
Ma bigotto mai!
E così in questi giorni io me la scorrazzo in bici per Milano con Here Comes Santa Claus nelle orecchie, faccio finta che è Natale e sono felice, anche se sono stressato, anche se c'è Berlusconi, anche se due persone care mi hanno profondamente deluso io sono felice!
Perchè se non hai nemmeno il desiderio di essere felice, come potrai mai essere un rivoluzionario?

Quindi, direte voi, che c'entra tutto questo con Dr. Caligari?
Ah, gia, certo...
Non vi ho detto che il protagonista di Dr. Caligari, Z-Man (o Z-Boy, chi lo sa?) Barzell, è un produttore discografico che con la sua musica è in grado di pilotare l'umore ed i pensieri degli esseri umani?
Ed ora so che in lui ci dovrà essere qualcosa di Bob Dylan.
E con questo un altro tassello va al suo posto.
Un'altra delle mie grandi ossessioni sta trovando il suo canale per completare l'opera, dando un senso alla propria esistenza.

Bene. Ho finito. Grazie per avermi seguito fino a qui.

mercoledì 14 ottobre 2009

Di cosa parliamo quando parliamo di Caligari

Ecco.
Sera, a casa, distrutto.
Passato il pomeriggio a registrare una versione Surf del Tema Di Z-Boy con Uli (nella foto accanto) e Tarzan Smith dei Waikiki Surf Brigade.
Eh? Che cosa?
Ecco, infatti, se il tutto suona assurdo è perché lo è.
Un periodo assurdo contraddistinto da assurde forze che si muovono intorno ad un assurdo progetto.
Ma andiamo per gradi.
E con calma.

Non riuscirò a riassumere in un post ( e del resto nemmeno voglio riassumere) qualcosa a cui sto lavorando da un anno.

Dr. Caligari è uno spettacolo teatrale di Compagnia Delle Furie, scritto da Elena Accenti che parla di un argomento vasto e impegnativo: il Male, con la M volutamente maiuscola.
Poi parla anche di controllo mentale, di rapporti di coppia, della fame di successo, di sesso, di istinti violenti e bestiali, c'è tanta musica, scritta ad hoc da un pugno di volenterosi, gentilissimi musicisti (che meritano una serie di post a venire), c'è una musica in particolare che si chiama il Tema Di Z-Boy che sarà presente in molte versioni diverse, ci saranno un gruppo d'attori straordinari, ci sarà da piangere, da ridere, da avere paura.

Ma per ora voglio dire una cosa soltanto.
Questo spettacolo sarà diverso.
Diverso da tutti gli altri della Compagnia Delle Furie.
E soprattutto diverso da tutto quello che ho fatto io, fulvio vanacore, fino ad oggi.
Ecco, uso il blog delle furie per raccontare i cazzi miei, ma solo stavolta lo giuro.
Sono ad un punto di svolta, mi ci sento, voglio esserci.
Sto chiudendo un ciclo della mia vita, Dr. Caligari è la manifestazione di questo momento.
È uno spettacolo-crocevia, dal quale passano ossessioni, paure, desideri, amicizie, rapporti, metodi di lavoro e massimi sistemi.
È lo spettacolo con cui voglio iniziare un percorso di responsabilità artistica, non più raccontare ciò che mi interessa ma ciò che ritengo si debba raccontare.
Non rinnego ciò che c'è stato prima, mai rinnegare nemmeno il peggiore dei passati, tutto è necessario se l'obbiettivo finale è qualcosa che noi, sinceramente, reputiamo superiore a noi stessi e soprattutto benefico.
Parlo come un predicatore, lo so.
Ma sto mutando e la mia dialettica è in fase di ristrutturazione.
Quello che voglio dire è che per me è finito il tempo delle figatine, degli spettacoli fatti con il cuore ma per soddisfare un mio personale gusto di spettatore.
Mi è servito lavorare sulle commedie di Goldoni e Marivaux, sono l'essenza del teatro, mi è servito lavorare a Too Much Coffee Man (che gia si porta appresso i semi di una consapevolezza), mi è servito smanettare su e giu dai palchi per dieci anni, ho imparato moltissimo. Ho imparato a capire questa macchina meravigliosa che si chiama Teatro e che per qualche strana ragione continua ad esistere, nonostante venga continuamente data per morta.
Intendiamoci, non pretendo di sapere, ma sicuramente ho imparato a guardare.
Ora voglio imparare di più.
Voglio imparare a guardare come guardano gli artisti.
Io voglio essere un artista, non definirmi tale.
Da Caligari si comincia a mettere insieme i pezzi del discorso.
Da Caligari si comincia a costruire un futuro.


"Costruire un futuro sull'orlo dell'apocalisse.
Il dovere di ogni artista, di ogni cittadino del mondo."

(Werner Krauss)